sabato 12 luglio 2025

Una sera qualunque

Era una sera qualunque. Una di quelle in cui il mondo sembrava procedere senza accorgersi di me. Una di quelle in cui la solitudine non fa rumore, ma pesa, come un sasso nel petto. Me ne stavo seduta nel mio angolo di silenzio, a guardare la notte calare piano sulle case. I grilli cantavano, ignari, e le voci dei vicini si rincorrevano nell’aria estiva. Ridevano, parlavano, vivevano. Un sabato sera come tanti. Per loro, almeno. Io no. Io ero altrove. O forse ero qui, troppo qui, troppo dentro di me. E proprio lì, in quello spazio interno in cui raramente qualcuno osa entrare, ho capito. Ho capito qual è il mio posto nel mondo: quello della spettatrice. Nessun ruolo da protagonista. Solo una sedia in fondo alla sala, da cui guardare gli altri vivere. I pensieri si attorcigliavano come fili elettrici. Cercavo risposte, cercavo pace, cercavo anche solo una certezza. Ma la verità è che la vita con me non è stata clemente. Una sofferenza dietro l’altra, come se qualcuno, da qualche parte, avesse deciso che io dovessi imparare tutto nel modo più duro. Non ricordo nemmeno più com’è stata l’ultima volta che mi sono sentita veramente leggera. Forse non è mai successo. Eppure, dentro me, resta viva una convinzione: meritavo qualcosa di diverso. Non parlo di miracoli o favole, solo di un po’ di quiete. Di un amore semplice. Di una felicità discreta. Ma queste cose, per ora, sembrano sempre appartenere agli altri. A quelli che brindano sui balconi, che ridono nei cortili, che si stringono forte nei parcheggi. Io invece stringo solo i pezzi della mia anima, cercando di sistemarli come meglio posso. Mi basterebbe così poco, davvero. Anche solo un bicchierino di vodka per sentire qualcosa di fresco in gola, qualcosa che spezzi la tensione, che illuda per un attimo. Vorrei ascoltare i pensieri degli altri, immergermi nelle loro vite, credere per un attimo che la mia possa assomigliare a quella di chi ha trovato un equilibrio, una ragione, una persona. Invece mi ritrovo a pensare che l’amore — quello che nei film sembra inevitabile, persino facile — forse non è destinato a me. Lo osservo da fuori, come tutto il resto. Mi commuovo per gli altri, gioisco per loro. E poi torno a casa, chiudo la porta, e lecco le ferite che nessuno ha mai visto. Le ferite che ho imparato a curare da sola. E a volte, in quelle notti più lunghe, chiedo scusa. Alla me bambina, per tutte le promesse infrante. Alla me ragazza, per tutte le battaglie perse. Non sono riuscita a darle quella rivincita che tanto aspettavamo. Non ho saputo salvarla da ciò che le avrebbe fatto più male: la sensazione costante di non essere mai abbastanza per ricevere il bene che si dava agli altri. Ma domani arriverà. Perché arriva sempre, anche se nessuno lo aspetta davvero. E io, come ogni giorno, indosserò il mio sorriso. Quello che mi fa sembrare forte, felice, risolta. Quello che gli altri ammirano, senza sapere cosa nasconde. È la mia armatura. La mia bugia più sincera. Spero solo che domani arrivi presto. Perché stasera, questa sera qualunque, mi pesa un po’ di più.